Scie in cielo: tra mito e realtà

Gabriele Dessena • 12 giugno 2025

Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le voci su presunti complotti legati alle scie lasciate dagli aerei in alta quota. Molti chiamano queste tracce scie chimiche (chemtrails in inglese), ipotizzando che contengano sostanze misteriose o pericolose disperse intenzionalmente. In realtà, dietro a queste linee bianche che solcano il cielo si cela una spiegazione molto più semplice e, soprattutto, scientificamente fondata.

Scie in cielo degli aerei

Quando un aereo vola ad alta quota, i suoi motori producono gas di scarico molto caldi e ricchi di vapore acqueo. L’aria in quota è fredda e spesso molto secca. Quindi, il vapore acqueo rilasciato si condensa rapidamente, formando piccolissimi cristalli di ghiaccio che danno origine alle cosiddette scie di condensazione (in inglese note come contrails). Questo fenomeno è ben noto ed è stato osservato fin dai primi voli ad alta quota nel secolo scorso. La composizione delle scie è per lo più acqua sotto forma di ghiaccio; non esistono prove scientifiche di sostanze chimiche aggiuntive né programmi di dispersione occulta, come confermato da numerose agenzie meteorologiche e scientifiche internazionali.

Confronto tra diverse tipologie di scie

Il mito delle chemtrails nasce dalla sovrapposizione tra questi fenomeni e la naturale variabilità delle condizioni atmosferiche. Capita spesso che in certe giornate le scie rimangano visibili per ore, mentre in altre si dissolvano in pochi minuti: tutto dipende da temperatura, umidità e vento. Questa varietà ha alimentato dubbi e teorie non supportate da dati, complici anche immagini spettacolari circolate in rete senza contesto.

Immagine satellitare delle scie di condensazione

Diverso è invece il discorso per le tecniche di cloud seeding, ovvero l’inseminazione artificiale delle nuvole. Questa pratica, sviluppata e studiata sin dagli anni '50, consiste nel rilasciare nell’atmosfera particelle (come ioduro d’argento, cloruro di sodio o ghiaccio secco) che fungono da nuclei di condensazione, facilitando la formazione di gocce d’acqua e, talvolta, incrementando le precipitazioni. Il cloud seeding è utilizzato in diverse parti del mondo, soprattutto per aumentare le risorse idriche in zone aride o per limitare la formazione di grandine dannosa per l’agricoltura.

Cloud seeding in fase di rilascio delle particelle

Gli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, hanno investito molto in questa tecnologia per far fronte alla cronica scarsità d’acqua. Con flotte di piccoli aerei e anche droni, si cerca di seminare le nubi quando le condizioni sono favorevoli, ottenendo in alcuni casi un aumento delle precipitazioni stimato tra il 10 e il 30%. Queste tecniche, però, non sono magiche: funzionano solo se ci sono nuvole già presenti e l’efficacia può variare moltissimo a seconda delle condizioni atmosferiche. Non è possibile creare nuvole dal nulla, né tantomeno influenzare in modo massiccio il clima globale. Un’altra importante applicazione è quella di tentare di influenzare il percorso degli uragani, utilizzando il seeding per creare un percorso privilegiato.

cloud seeding per il controllo di uragani

In conclusione, ciò che vediamo spesso in cielo sono normali fenomeni fisici ben conosciuti e studiati. Le vere tecniche di modifica del tempo esistono, ma sono controllate, trasparenti e utilizzate su scala locale, soprattutto per scopi idrici o agricoli. La scienza ci aiuta a distinguere tra realtà e mito: osservare il cielo con spirito critico è il primo passo per non farsi ingannare dalle apparenze.

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Autore: Elisa Goffo 28 ottobre 2025
I pianeti che conosciamo nella nostra galassia sono più di 6000, ma sappiamo ancora molto poco su come si formino. Il modo migliore per studiare i loro processi di formazione è osservare i sistemi planetari “appena nati”. Il sistema planetario PDS 70 , situato a circa 370 anni luce da noi , è il miglior esempio che abbiamo scoperto finora ed anche il più studiato. é infatti il primo sistema conosciuto in cui gli astronomi hanno potuto assistere direttamente alla nascita di pianeti extrasolari. PDS 70 è una stella giovane, di circa 5 milioni di anni, che si trova ancora nella sua “infanzia”, se confrontata con i 4,6 miliardi di anni del nostro Sole. Per questo, e per molti altri motivi, è uno dei luoghi più studiati del cielo, dove possiamo osservare direttamente pianeti in formazione.
Autore: Andrea Vanoni 9 ottobre 2025
Un tempo riservata agli osservatori professionali e alle agenzie spaziali, l’osservazione e la ripresa di corpi celesti come la Luna, i pianeti e persino il Sole è oggi alla portata di molti grazie ai progressi della tecnologia e alla crescente accessibilità di strumenti astronomici amatoriali. Sempre più appassionati di astronomia si cimentano nella fotografia planetaria e solare, ottenendo risultati sorprendenti e contribuendo, talvolta, anche alla ricerca scientifica. Negli ultimi anni, il mercato ha visto un’impennata nella qualità e nella disponibilità di telescopi, camere planetarie, filtri solari e software di elaborazione immagini pensati per gli astrofili. Strumenti come: • Telescopi a lunga focale , ideali per l’osservazione planetaria • Camere CMOS ad alta sensibilità e frame rate elevato • Software di stacking e post-processing (come AutoStakkert!, RegiStax e AstroSurface) hanno rivoluzionato le possibilità di chi osserva il cielo da casa, permettendo di ottenere dettagli sorprendenti di Giove, Saturno, Marte, delle fasi lunari e persino delle macchie solari.
Autore: Liliana Balotti 2 ottobre 2025
La NASA ha ufficialmente annunciato la selezione di 10 nuovi astronauti per la classe del 2025 , scelti tra oltre 8.000 candidati provenienti da tutti gli Stati Uniti. Dopo un lungo e rigoroso processo di valutazione che ha incluso test fisici, psicologici, tecnici e colloqui altamente selettivi, sono emersi sei donne e quattro uomini che rappresentano l'élite scientifica, tecnica e operativa del Paese. Il nuovo gruppo inizierà ora un intenso programma di addestramento di due anni presso il Johnson Space Center di Houston , sede storica del corpo astronauti. Durante questo periodo, saranno formati su una vasta gamma di competenze: camminate spaziali (EVA), operazioni robotiche, ingegneria di sistemi spaziali, lingua russa (necessaria per lavorare con i colleghi a bordo della ISS), sopravvivenza in ambienti ostili e operazioni mediche d’emergenza. Solo al termine di questo addestramento otterranno la qualifica ufficiale di astronauta. La classe del 2025 potrà essere assegnata a diverse missioni, tra cui spedizioni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) , missioni commerciali con partner privati come SpaceX e Axiom , o, per alcuni di loro, ruoli chiave nelle prossime fasi del programma Artemis , che punta a riportare l’uomo — e per la prima volta una donna — sulla superficie lunare nel corso di questo decennio. Obiettivo finale: creare una presenza umana sostenibile sulla Luna e, successivamente, pianificare le prime missioni con equipaggio verso Marte . Con questa nuova selezione, il numero totale di astronauti scelti dalla NASA dalla nascita del corpo astronauti — risalente al 1959 con il primo gruppo delle missioni Mercury — sale a 370 persone . Si tratta di un traguardo simbolico, che riflette non solo la continuità della grande tradizione spaziale americana, ma anche la sua trasformazione: dagli anni pionieristici della corsa allo spazio, passando per le missioni Apollo, lo Space Shuttle e la ISS, fino all’attuale era di collaborazione tra agenzie spaziali e aziende private. La classe 2025 si distingue per la sua notevole diversità professionale . Tra i nuovi astronauti figurano piloti militari collaudatori , ingegneri aerospaziali , medici , scienziati planetari , esperti di missioni spaziali commerciali e persino una ex atleta della nazionale statunitense di rugby. Alcuni hanno già avuto un assaggio dello spazio, come Anna Menon , che ha volato nel 2024 nella missione privata Polaris Dawn , mentre altri hanno alle spalle centinaia di ore di volo in teatri operativi o hanno partecipato a missioni scientifiche in ambienti estremi sulla Terra, come l’Antartide o zone vulcaniche. Il loro background riflette il nuovo volto dell’esplorazione spaziale americana: multidisciplinare, collaborativo, altamente tecnico e sempre più orientato verso l’esplorazione umana del Sistema Solare . Questi dieci astronauti non saranno solo esploratori: saranno scienziati, ingegneri, comunicatori, ambasciatori della Terra nello spazio. Con l’ambizione di riportare esseri umani sulla Luna dopo oltre 50 anni, e con la prospettiva di spingersi oltre, la NASA sta costruendo oggi la squadra che domani potrebbe rappresentare l’umanità su altri mondi.
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Sierra Space ha annunciato che il volo inaugurale del suo spazioplano Dream Chaser non includerà più una manovra di attracco con la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), ma sarà limitato a una missione dimostrativa in orbita. Il cambiamento deriva da una revisione del contratto Commercial Resupply Services-2 (CRS-2) che in origine prevedeva un minimo di sette missioni di rifornimento all’ISS con Dream Chaser e il modulo cargo Shooting Star.
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Da quando Sputnik raggiunse l’orbita terrestre, lo spazio si è via via riempito di satelliti. Non tutti hanno il privilegio di ritornare sulla Terra. Molti di essi, o meglio, molte parti di essi, sono destinati a vagare nello spazio per decenni. Questi oggetti di modeste dimensioni sono come dei proiettili, pronti a danneggiare qualunque oggetto si trovi sulle loro traiettorie. Due eventi storici hanno aumentato in maniera significativa il numero dei detriti spaziali : il test missilistico cinese del 2007 e lo scontro tra Iridium 33 e Kosmos 2251.
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A settembre la Stazione Spaziale Internazionale verrà raggiunta da due missioni cargo di rifornimento. La prima missione chiamata Progress MS-32 verrà lanciata da Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, mentre la seconda missione chiamata CRS NG-23 , verrà gestita da Northrop Grumman. Progress MS-32 Il lancio della missione Progress MS-32 avverrà con un razzo Soyuz di Roscosmos dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan.
Autore: Elisa Goffo 28 agosto 2025
Un gruppo di ricercatori potrebbe aver individuato per la prima volta un buco nero supermassiccio subito dopo la sua formazione. Il buco nero si trova al centro di una struttura chiamata “ Infinity ”, nata dalla fusione di due galassie . La scoperta potrebbe offrire un nuovo spunto per comprendere come i buchi neri massicci si siano originati nell'universo primordiale.
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Autore: Giovanni Garofalo 26 agosto 2025
Fin dagli albori dell’attività spaziale, i detriti derivanti da satelliti, razzi e altri oggetti in orbita hanno rappresentato un rischio potenziale durante il loro rientro nell’atmosfera terrestre.
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