AstroRubrica: alla scoperta di nuovi mondi

Elisa Goffo • 26 novembre 2024

Gli esopianeti

Nella nostra galassia, la Via Lattea, ci sono circa 200 miliardi di stelle. Da pochi anni abbiamo scoperto che la maggior parte di queste potrebbe ospitare almeno un pianeta. Solo nella Via Lattea potrebbero esserci centinaia di miliardi di sistemi solari e considerando che ci sono centinaia di miliardi di galassie nell’universo, i pianeti là fuori sono davvero tanti. Potrebbero essercene più dei granelli di sabbia sulla Terra!

Cosa sono gli esopianeti?

Gli esopianeti sono pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal nostro Sole, situati quindi al di fuori del Sistema Solare. Finora, ne abbiamo scoperti oltre 5700, e molti di questi hanno caratteristiche davvero uniche, molto diverse dagli otto pianeti che conosciamo attorno al Sole.


Come li scopriamo?

Gli esopianeti si trovano a distanze incredibili dalla Terra, tanto che, al momento, inviare sonde per studiarli è impossibile. La sonda più veloce mai costruita dall’uomo, la Parker Solar Probe, è stata lanciata dalla NASA nel 2018 per studiare il Sole da vicino. Questa sonda ha raggiunto velocità straordinarie, superando i 630.000 km/h. Tuttavia, anche viaggiando a questa velocità, raggiungere l'esopianeta più vicino a noi, situato intorno a Proxima Centauri a circa 4,24 anni luce (equivalenti a 40.208 miliardi di chilometri), richiederebbe 7,83 milioni di anni.

Inoltre, la maggior parte degli esopianeti non può essere osservata direttamente nemmeno con i telescopi più avanzati. Eppure, gli scienziati hanno sviluppato metodi ingegnosi per trovarli e studiarli, ampliando le nostre conoscenze su questi mondi lontani.

Un metodo è quello dei transiti. Quando un pianeta passa davanti alla sua stella, blocca una piccola parte della sua luce, creando una sorta di eclisse. Gli astronomi osservano questa diminuzione di luce per capire se c’è un pianeta.

I pianeti esercitano una forza gravitazionale sulle loro stelle, facendole muovere leggermente attorno al baricentro del sistema. Per esempio Giove, il pianeta più massiccio del Sistema Solare, fa muovere il Sole di circa 44,6 km/h. Alcuni metodi, come quello delle velocità radiali, misurano questi movimenti da cui possiamo dedurre la presenza di un pianeta. 


Questi metodi ci permettono di scoprire dettagli come la dimensione, la massa e persino la composizione atmosferica di alcuni esopianeti, anche senza vederli direttamente.


Perché studiamo gli esopianeti

Fino agli anni '90 si conoscevano solo i pianeti del Sistema Solare. La scoperta degli esopianeti ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo. Ma perché sono così importanti per la scienza?

Studiando gli esopianeti possiamo capire quanto siamo unici. Il nostro Sistema Solare potrebbe infatti essere un’eccezione. Conoscendo molti più sistemi planetari possiamo confrontarli con il nostro e capire se esistano altri pianeti simili alla Terra. Inoltre, possiamo conoscere le nostre origini e il nostro futuro. Esaminare altri sistemi planetari ci aiuta a capire meglio come si sono formati il Sole e i suoi pianeti, ma anche come evolverà il nostro Sistema Solare, per conoscere il destino della Terra.

E infine, studiare gli esopianeti ci aiuta a capire quali sono le condizioni che permettono la vita e rispondere alla grande domanda “Siamo soli nell’universo?” .

Fino ad ora non abbiamo scoperto tracce di vita, ma alcuni esopianeti si trovano nella cosiddetta zona di abitabilità, ovvero una zona dove l’acqua sarebbe allo stato liquido permettendo lo sviluppo della vita come la conosciamo. Le missioni attuali e future si stanno concentrando sullo studio delle atmosfere di questi mondi, con la speranza di trovare finalmente qualche segno di vita.

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Autore: AstroBenny (Benedetta Facini) 9 dicembre 2025
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Tutto nasce da un episodio avvenuto il 30 ottobre su un A320 di linea, durante un volo tra Stati Uniti e Messico . L’aereo ha avuto una breve ma imprevista variazione di assetto, un “abbassamento di muso” non comandato mentre il pilota automatico era inserito. L’equipaggio ha ripreso il controllo in pochi istanti e il volo si è concluso con un atterraggio regolare. Da quell’evento, analizzato nei dettagli da Airbus e dalle autorità, è emersa una possibile vulnerabilità in uno dei computer che controllano il beccheggio e il rollio dell’aeromobile. Per questo, a fine novembre 2025, l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) ha emesso una direttiva di emergenza (Emergency Airworthiness Directive, EAD) che riguarda una parte della flotta Airbus A319, A320 e A321, chiedendo interventi rapidi su hardware e software di bordo. È importante sottolineare subito che parliamo di un’ azione precauzionale , scattata proprio per evitare che un evento estremamente raro possa ripetersi in condizioni più critiche. La famiglia A320 (che comprende A318, A319, A320 e A321) è una delle più diffuse al mondo: è l’aereo tipico dei collegamenti di corto e medio raggio che utilizziamo per andare da una grande città europea all’altra. Proprio perché si tratta di migliaia di aeromobili, qualsiasi direttiva che li riguarda ha un effetto immediato sulla programmazione dei voli: alcune rotte vanno ripianificate, alcuni velivoli devono fermarsi qualche ora in più in manutenzione, e può comparire qualche ritardo o cancellazione. Non è il sintomo di un problema “misterioso” che appare all’improvviso, ma il risultato di una filosofia molto chiara: se si individua anche solo la possibilità teorica di una situazione indesiderata, si interviene in blocco sull’intera flotta interessata. Airbus, nel suo comunicato, ha spiegato che la combinazione tra un certo tipo di computer di volo e una modifica software recente ha reso quel componente più sensibile a particolari condizioni di radiazione solare, e che quindi si è deciso di aggiornare il software di circa cinquemila aerei e di sostituire fisicamente i computer su circa novecento esemplari più anziani.
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Il 13 novembre 2025 segna una data importantissima per il settore spaziale, poiché un nuovo attore si aggiunge a SpaceX nel settore dei razzi riutilizzabili : è la compagnia spaziale di Bezos, Blue Origin , il cui razzo New Glenn è atterrato verticalmente in completa autonomia. Ad essere precisi, è stato il primo stadio, Jacklyn, ad essere atterrato e (quasi) pronto al riutilizzo. è il secondo tentativo di Blue Origin di effettuare questa impresa con successo, dopo il fallimento della parziale della missione NG-1 di gennaio dello stesso anno, quando il carico era stato lanciato con successo, ma dati telemetrici di Jacklyn si persero è non atterrò come previsto. Ma come siamo arrivati a questo punto?
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La curiosità come punto di partenza I bambini hanno una caratteristica straordinaria: fanno domande su tutto. “Perché il cielo è blu?”, “Come fa un dinosauro a essere così grande?”, “Cosa c’è dentro il nostro corpo?”. Questa curiosità è il motore dell’apprendimento, e la realtà aumentata può trasformarla in esperienze concrete e coinvolgenti. La realtà aumentata spiegata ai genitori La realtà aumentata (AR) è una tecnologia che permette di sovrapporre immagini e informazioni digitali al mondo reale, visibili attraverso smartphone o tablet. Non è fantascienza: è uno strumento che rende lo studio un’avventura. Immaginate di puntare la fotocamera verso il libro di scienze e vedere il cuore che batte in 3D, o di trasformare il salotto in un piccolo planetario dove i pianeti orbitano intorno al Sole.
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